INTERVISTA A RICCARDO TABILIO**
PENSIERI INTORNO ALLA NATURA


di Francesca Daidone Costantino e Noemi Lucrezia Pepe



Fotografia scattata durane la performance Alberi di Stefan Kaegi e Riccardo Tabilio al parco delle Groane, Milano. Di Luca Del Pia, per gentile concessione di ZONA K.





Ai primi di giugno del 2024 ZONA K e il Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa hanno presentato nel Parco delle Groane Paesaggi Condivisi, una rassegna di proposte artistiche sul tema del paesaggio di cui gli spettatori, camminando attraverso i boschi, i prati e i sentieri del Parco, hanno potuto fare esperienza una dopo l’altra, dal primo pomeriggio al tramonto, senza soluzione di continuità[1].


In questo format, già sperimentato in altre lingue e in varie parti d’Europa, Stefan Kaegi, del collettivo svizzero-tedesco Rimini Protokoll e Caroline Barneaud, curatori di Paesaggi Condivisi, hanno convocato sette artisti/collettivi europei a condividere le loro visioni sul nostro rapporto con il territorio.





Nella prima delle performance, Alberi[2], ideata dallo stesso Kaegi e realizzata insieme all’autore italiano Riccardo Tabilio, gli spettatori, immersi nella natura e distesi sotto la volta degli alberi, ascoltavano in modo immersivo, come in un sogno, le parole di una bambina, una meteorologa, una cantante, un agronomo e una psicoanalista. I discorsi, nati spontaneamente sulla base di alcuni spunti e poi selezionati e intrecciati attraverso il montaggio, i temi della natura, del clima, delle fiabe, della realtà contemporanea, della morte e dei sogni si sono avvicendati secondo una poetica dell’analogia e dell’associazione.

Abbiamo pensato di rivolgere agli autori Kaegi e Tabilio qualche domanda per una riflessione insieme a proposito del nostro progetto sul Barone rampante, che ha visto come elemento chiave proprio la Natura.



Nel vostro progetto avete pensato di coinvolgere anche uno psicoanalista. Come mai?


Ci sembra sensata l’idea che in una conversazione sugli alberi ci sia la voce di una persona che nella propria quotidianità si interroga sulla psiche: questo perché un bosco – e un paesaggio in generale – non sono soltanto ciò che è visibile, ma hanno un posto nella simbologia e nei sogni di ciascun essere umano. La voce di una guardia forestale (Luca Frezzini nell’edizione milanese) può raccontarci ciò che si cela sotto la corteccia degli alberi: quali specie animali, quali fenomeni ecologici, quali scelte forestali; una meteorologa (Pamela Turchiarulo) può trasportarci oltre la coltre dei rami, lassù, in cielo, e farci ragionare sui mutamenti climatici; una cantante con un background migratorio (Rania Khazour) può condurci in foreste che non abbiamo mai visto attraverso la musica e il canto; una bambina (Costanza Alessandri) può farci meravigliare di una foglia o di un bruco. E una psicoanalista (Camilla Giraudi) può raccontare cosa c’è nel… sottobosco dell’anima. Quali sono le paure e i desideri, per esempio, che hanno per habitat immaginario e narrativo il bosco.


In che direzione sta andando il rapporto dell’uomo, in particolare dell’uomo metropolitano, rispetto alla Natura?

Si può avere l’idea che sia un allontanamento. Eppure come mai prima circolano prodotti culturali (di tutti i tipi, dai libri, ai documentari ai video su Instagram) che hanno a che fare col mondo naturale. Mai i cammini a piedi sono stati così popolari, come anche gli sport di montagna, ad esempio l’arrampicata o lo sci. Mai come ora la cima dell’Everest è stata così trafficata, per dirne un’altra! Più che un allontanamento si sta producendo nella società una narrazione mitologica della natura: una visione in cui essa è un altrove, a cui anelare. Un altrove esclusivo – per chi esibisce, condivide o semplicemente invidia le immagini dei paesaggi da cartolina diffuse sui social network; per altri un altrove da sfidare, conquistare e da sfoggiare; un’altrove perduto e da ritrovare per coloro che rimpiangono ritmi di vita, luoghi e tempi che oggi sono mutati. La natura in questa narrazione ha anche a che fare con l’innocenza, un’innocenza perduta: la psiche degli animali più o meno domestici è antropomorfizzata e ritratta come quanto di più puro e incorrotto ci sia. C’è la natura, con la sua purezza, e ci siamo noi, gli esterni, i “condannati” all’esclusione, i peccatori. Questa grande narrazione ha in sé una rimozione, ed è la rimozione del fatto che noi esseri umani siamo Natura: siamo la vita e siamo la morte. Siamo attori nel teatro di Gaia, e – avendo la nostra specie la libertà di scrivere le nostre parti – abbiamo anche delle responsabilità.




A quali bisogni risponde la Natura e che ruolo gioca in un’operazione artistica site-specific?


La natura, intesa come ambiente, è imprescindibile in un lavoro come Paesaggi Condivisi, che non avrebbe senso sulle assi di un palcoscenico. Camminare per un tempo disteso, lungo, assecondando ritmi e traiettorie non lineari, è decisamente qualcosa che si può fare solo in un luogo come il Parco delle Groane, che ha accolto l’edizione milanese di questa iniziativa. La vista dei partecipanti è esposta a orizzonti, l’olfatto a odori, il tatto a una folata di vento o al ruvido di una corteccia. I sensi sono esposti a incontri inattesi: con un insetto o un uccello, o chissà. Non sappiamo se è un bisogno di tutti, ma certamente l’inconsueto gioca un ruolo nel percorso emotivo degli spettatori. Piove, ci si mette una mantellina, si cammina in fila indiana lungo un sentiero, parlando piano; ci si riposa stesi tra le spighe, si infilano le dita nella terra umida. Si chiudono gli occhi, si ascolta. Da artisti, detto che il paesaggio naturale fa parte degli elementi di base di questo format, più che rispondere a un bisogno, diciamo che la natura è stata luogo e oggetto di osservazione. L’abbiamo attraversata e interrogata, con la nostra presenza e persistenza nell’ambiente naturale. Nella selezione delle varie voci che compongono Paesaggi Condivisi c’è stata inoltre la volontà di farsi stupire, lasciando un’alta libertà creativa agli artisti. Interrogare la natura e farsi stupire… Italo Calvino non se la prenderà se noi ricombiniamo un poco una battuta che da romanziere mise in bocca a Marco Polo ne Le città invisibili: “Di un bosco non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.


       

L’esperienza artistica/teatrale site-specific si potrebbe definire un’esperienza di integrazione di dimensioni altrimenti frammentate?


Certamenteintegrazione è una parola chiave in un’operazione interdisciplinare come Paesaggi Condivisi. A differenza di un teatro all’italiana una foresta ti espone a numerosi stimoli che incidono piani sensoriali diversi. Un’operazione site-specific com’è questa ti strappa dal buio rassicurante e talvolta soporifero della sala, dall’immobilità delle poltrone in fila, e dal ruolo solitamente passivo riservato al pubblico, e ti colloca in un paesaggio non preparato, mutevole e vasto. E poi c’è lo strumentario degli artisti: lo strumento delle radiocuffie, usato in Alberi e in altre performance di Paesaggi Condivisi ti inserisce in uno stato particolare di solitudine collettiva, perché le cuffie sono isolanti, e inibiscono lo scambio verbale tra le persone, e insieme conciliano l’ascolto e la concentrazione. Poi c’è il corpo: la danza, la recitazione. C’è la realtà aumentata, c’è la fotografia. Ci sono le installazioni che dialogano col paesaggio. E c’è la musica! E infine, per tornare all’inizio, c’è il sole, il vento, la pioggia – e magari un arcobaleno, come ci è accaduto in una delle edizioni precedenti.

                                                                                                                                           

Per dirla con Wordsworth, possiamo vedere “la relazione con la natura come fonte di forza che aiuta lo sviluppo di una sana crescita della mente”?


Sempre che si accetti di esserne parte e si combatta la narrazione dicotomica di cui si parlava. Vale a livello individuale, ma anche sociale. Il ritorno alla natura per i romantici – nella poesia di Wordsworth come nelle note dell’ouverture Le Ebridi di Mendelssohn, e come nei paesaggi vertiginosi di Friedrich – era parte di un tentativo di rivoluzione artistico-formale che era anche politica. E questo è forse un buon insegnamento per noi posteri di fronte alle urgenze di oggi: collocarci nella natura, riconoscerci come parte del sistema naturale, accettare le responsabilità che questo posizionamento nella natura ci impone. Farne arte e farne politica. Parlarne come di qualcosa di mutevole, complesso, contemporaneo. Visto che abbiamo parlato di poeti, ci vengono in mente alcuni versi di Brecht tratti dalla poesia A coloro che verranno, che recitano:

Ma che tempi sono questi, quando | discorrere d'alberi è quasi un delitto, | perché su troppe stragi comporta silenzio!

Brecht si riferisce ai tempi in cui in Germania imperversava il nazismo. Ma la sua indignazione è mirabile ancora oggi: oggi dobbiamo rivendicare di poter parlare di alberi, assolutamente, in tempi come i nostri, quando è acclarato che l’ecosistema Terra sta mutando a causa dell’azione umana. Ci fa bene, fa bene, è vitale.



I paesaggi della natura possono divenire, o meglio tornare a essere, luoghi dove vivere esperienze e non solo da “abitare” e sfruttare per qualche ora?


Sì. Ma non è un cambiamento che possano sobbarcarsi gli artisti. Deve passare attraverso un mutamento sociale e antropologico. In questo momento al mondo ci sono forze che hanno a cuore questo cambiamento: forze civiche, comunitarie, anche politiche. Noi artisti possiamo intercettare il presente, raccontarlo. E possiamo prenderci cura di queste forze, che sono anche in molti di noi, con gli strumenti dell’arte, che poi sono la meraviglia, le emozioni e il pensiero.




Reference
** Riccardo Tabilio, co-autore della versione italiana della performanceAlberi, ha realizzato la presente intervista insieme a Stefan Kaegi, ideatore del progetto Alberi, nonché co-curatore di Paesaggi Condivisi.


[1] Questa produzione fa parte del progetto Performing Landscape, cofinanziato dall'Unione Europea.

[2] Pièce di Stefan Kaegi e Riccardo Tabilio per Paesaggi Condivisi, con le voci di Costanza Alessandri, Luca Frezzini, Camilla Giraudi, Rania Khazour, Pamela Turchiarulo, registrazione live Roberto Cirillo. Per gentile concessione degli ideatori del progetto e di ZONA K, è possibile ascoltare il lavoro di cui si parla nell’intervista digitando: https://www.zonak.it/blogposts/sotto-gli-alberi/. Gli Autori invitano ad ascoltare la registrazione come segue: Ti invitiamo aentrare in un bosco se sei in montagna, a passeggiare in una pineta se ti trovi al mare, oppure a esplorare un parco o un giardino se sei in città. Sdraiati a terra tra le radici degli alberi, guarda il cielo attraverso le loro chiome e ascolta Alberi lasciandoti trasportare in un'altra dimensione.